Tempo di crisi o di cambiamento

Quando tutto va bene nella vita, si vorrebbe che tutto restasse sempre così, in un  perfetto e magico equilibrio.

Ma – senza voler “gufare” – è inevitabile che prima o poi qualcosa cambi e che la fase “ottimale” cessi e si entri in un’altra fase.
Dovremmo sentirci a casa più nei momenti di transizione  che in quelli stabili perché, a ben vedere, i punti di equilibrio sono passaggi  e si trasformano immantinente in squilibri per consentirci appunto di accedere ad un nuovo equilibrio (che è una possibilità di nuove scoperte).
Fa parte dell’evoluzione, sia che si parli della propria vita, che della società.

Durante la pratica di vrksasana (l’albero) spesso dico ai miei allievi: se non riuscite a restare in equilibrio su un piede e tornate a terra con il piede che avevate sollevato, non consideratelo  una perdita di equilibrio, ma semplicemente l’acquisizione di un nuovo equilibrio.

Nulla di negativo, ma un semplice divenire. E’ molto diverso dire a se stessi “ho perso l’equilibrio” piuttosto che “sono passato ad un nuovo equilibrio”.

Qualcuno può pensare ad un escamotage, ma non è così: è usare la mente in modo costruttivo e non distruttivo. E’ evitare di giudicarsi ed evitare di definire una situazione un fallimento, perché spesso da qualcosa di apparentemente negativo si accede a qualcosa di positivo.

Si usa dire: “si chiude una porta e si apre un… portone.”

Cambiare questo modo di pensare nella vita di tutti i giorni significa vivere una difficoltà e saperne uscirne comunque; magari un po’ malconci, ma senza restare invischiati in giudizi su se stessi o sugli altri.

E’ imparare ad uscire rapidamente dalle paludi del “non ci riesco, non sono capace, non ci riuscirò mai!”, affermando al contrario: “troverò una soluzione, farò il possibile, ce la metterò tutta.”

In fondo, quando facciamo del nostro meglio… è già un successo (anche perché è davvero raro fare del proprio meglio).

Osserviamo l’azione del camminare; ogni passo ci costringe a passare attraverso una successione di squilibri, ci costringe a staccarci dall’appoggio rassicurante di entrambi i piedi e a stare per una frazione di secondo in bilico.

Basta guardare  un bambino che sta imparando a camminare per capire quanto è difficile e, per un po’ di tempo, barcolla così tanto che sembra sul punto di cadere ad ogni passo; e invece riesce ad avanzare e… infine, saprà spostarsi dove vuole.

E’ solo attraverso l’accettazione di passare attraverso cambiamenti che si “cammina”; è solo lasciando i porti sicuri che si veleggia e si esplora il mondo.

Tutti i ricercatori, in qualsiasi campo, devono staccarsi dal conosciuto  se vogliono andare là dove nessuno è mai giunto prima (citando Star Trek) ed è normale non sapere quali saranno le difficoltà che si incontreranno, né se esiste realmente la meta intuita.

Questo non dovrebbe spaventarci, ma affascinarci e per fortuna c’è chi ama questo “brivido”, questa “adrenalina” del lasciare la zona comfort. Altrimenti molte scoperte non sarebbero mai avvenute.

E anche se, a onor del vero, alcune scoperte sono avvenute per sbaglio, qualcuno ha compiuto  qualcosa di diverso e… voilà: una nuova scoperta.

Qualche esempio di scoperta avvenuta per caso: la penicillina nel 1928, l’eco del Big Bang nel 1964, la dinamite nel 1866, l’anestesia ai primi del 1800, la gola dell’Olduvai in Tanzania (vero e proprio santuario per i paleoantropologi) scoperta per caso nel 1911 mentre un entomologo stava inseguendo una rara farfalla; e ancora i fuochi d’artificio, il forno a microonde, i raggi x, il post it, il velcro, il teflon, la gomma vulcanizzata, le patatine fritte, i corn flakes, il verderame, il viagra,  la saccarina e… chissà cos’altro.

I tempi che stiamo vivendo non sono tempi di crisi, ma di cambiamento.

Questo concetto è importante perché il vecchio sta cadendo a pezzi e non è possibile che ciò avvenga senza passare attraverso un  periodo destabilizzante.
Si percepisce tra la gente voglia di cambiamento, di fare un passo avanti.
C’è meno spreco, meno consumismo, nel senso che si è più selettivi.
Si compra meno e si è più attenti alla qualità.
Si da importanza al cibo, alla salute e all’ecologia.

Certo non tutti si comportano in questo modo, ma decisamente esiste una maggiore informazione e sensibilizzazione. Basta guardare nei supermarket la crescita esponenziale di offerta di prodotti biologici e salutistici. Questo significa che c’è domanda e se la gente chiede, il settore food è costretto a rispondere. Certo lo scopo è il profitto da un lato e forse una moda dall’altro, ma intanto si genera un sotterraneo cambiamento.

Questo però dimostra che le persone, informandosi, sono in grado di cambiare le proprie abitudini e modificare i condizionamenti legati ad un certo modo di nutrirsi, non è cosa da poco.

Questo fenomeno sta accadendo nel giro di pochissimo tempo, ed è in crescita.
Esiste inoltre una maggiore attenzione alle informazioni che si ricevono; un tempo ci si “beveva” tutto quello che era somministrato dai media, oggi forse vi è più cinismo, ma è positivo prendere “con le pinze” tutte le notizie, compresi gli scoop sul maltempo, dove c’è sempre un Caronte  o un  Lucifer, o un Hannibal, che incombono sulle nostre teste.

L’utilizzo di internet ci mette in contatto con il mondo e permette di avere una visione globale. Conoscendo l’inglese si può navigare quasi ovunque e crearsi una propria opinione degli avvenimenti e delle situazioni, ma anche solo nella nostra lingua è possibile avere uno spaccato più coerente della società (incluse le tante bufale che galleggiano nell’oceano della rete).

Da questa  lettura emerge l’immagine di un mondo sofferente, stretto nelle volute di due serpenti: potere e denaro.
Ma c’è anche l’immagine di un mondo in gestazione: il forte squilibrio tra pochi che godono di privilegi e diritti e miliardi di persone che subiscono la situazione non può che sfociare in qualcosa di nuovo.

E’ inevitabile, anche perché è da così tanto tempo che questa vessazione accade,  che le persone si stanno gradualmente svegliando accorgendosi molto chiaramente di essere manipolate.

Molte persone si stanno facendo delle domande, perché la decadenza di dogmi religiosi e di bisogni consumistici lascia più spazio a nuove riflessioni. Molte caselle nella mente, che prima erano oculatamente riempite di frasi fatte e sicurezze condizionate, oggi sono vuote, prive di contenuti.
Per fortuna, in questo spazio si fanno strada con più irruenza alcune domande che potremmo definire  “esistenziali”,  spesso sprigionate dalla ricerca del senso della sofferenza e soprattutto della morte, che volenti o nolenti è un passaggio obbligato per tutti.

Le malattie e i lutti che cambiano drasticamente la nostra vita ci mettono con le spalle al muro e generano spesso una spinta per cercare risposte non solo relative alla morte, ma al contrario… al senso stesso della vita.

In questo tipo di ricerca è difficile scegliere la direzione per trovare risposte vere e profonde e non contentini emotivi che ci lasciano del tutto impreparati ai momenti cruciali della vita, veri e propri terremoti emotivi.

Il mio consiglio è  di avvicinarsi alla pratica dello yoga e soprattutto della meditazione. Dobbiamo imparare a calmare la mente, dobbiamo imparare a governare le emozioni e i pensieri meccanici.

Dobbiamo sviluppare percezioni più profonde, perché sottostante alle nostre paure e ai nostri bisogni esiste un grande oceano in movimento.
E’ lì che si possono trovare le risposte. Solo lì.

Possiamo cercare una guida che ci conduca in quel luogo profondo di noi stessi. Che ci conduca alla meditazione.

Al silenzio della meditazione.

Lì, troveremo le risposte; o quanto meno, le giuste domande.
Ma dobbiamo essere noi a realizzare.
E quando avremo realizzato non esisteranno dubbi che ciò sia avvenuto.
Fidiamoci dell’istinto per capire chi può aiutarci in questo percorso.

L’istinto nasce dal sentire e il sentire proviene da quell’oceano che risiede al di sotto della mente condizionata e superficiale.

di Antonella Spotti

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