TU DIVENTI CIO’ CHE PENSI

Il concetto filosofico indiano secondo cui noi diveniamo quello che pensiamo si inserisce in una visione della vita e della coscienza profondamente diversa rispetto a molte tradizioni occidentali. Questa prospettiva, radicata nelle scuole di pensiero come il Vedānta, il Buddhismo e il Sāmkhya, ci invita a riflettere sulla natura della mente, sull’illusione dell’identità e sul rapporto tra pensiero e realtà.

COGITO ERGO SUM?

cogito ergo sum

Nella filosofia occidentale, si trovano spesso concetti che sottolineano l’importanza del pensiero nella definizione del nostro essere. Ad esempio, il celebre “Cogito, ergo sum” di Cartesio pone il pensiero come fondamento dell’esistenza. Al contrario, la tradizione filosofica indiana invita a considerare il pensiero non come una manifestazione autentica del nostro sé, ma come una proiezione transitoria e spesso illusoria, perché fondata su idee acquisite in un contesto privo di vera consapevolezza.

Secondo il Vedānta, l’essenza autentica di ogni individuo è l’Atman, il sé eterno e immutabile, che è una manifestazione del Brahman, la realtà ultima e universale. I pensieri, invece, sono fluttuazioni della mente, legate al mondo materiale e temporaneo. Identificarsi con i propri pensieri equivale a restare intrappolati nell’illusione, dimenticando la propria vera natura. In questa prospettiva, non è ciò che pensiamo a definirci, ma è il riconoscimento dell’Essere a liberarci dall’illusione del divenire. Questo processo, tuttavia, non può non tenere conto del pensiero con il quale viviamo ogni giorno. Pensiero che genera emozioni, le quali determinano azioni e, entrambe le cose, producono Karma, ossia effetti che modificano il nostro mondo interiore ed esteriore.

Da un lato, quindi, dobbiamo cercare di elevarci al di sopra del pensiero e delle emozioni più meccaniche, attraverso il silenzio mentale e la meditazione. Dall’altro – contemporaneamente – dobbiamo coltivare una forma di pensiero più elevata e dispiegata, capace di immaginare e proiettare visioni più aperte, benevole e luminose, di noi stessi e della vita in genere. Questo, perché ogni pensiero e ogni emozione generano dei solchi profondi entro noi stessi.

DISTACCO O IMMERSIONE?

distacco o immersione

Il Buddhismo, pur con alcune differenze rispetto al Vedānta, condivide l’idea che i pensieri non siano l’essenza dell’essere. La dottrina del “non-sé” (Anattā) sottolinea che l’identificazione con i pensieri e le emozioni conduce a illusione (dukkha). Il percorso della meditazione e della consapevolezza, come insegnato dal Buddha, mira a osservare i pensieri senza attaccamento, riconoscendo la loro natura effimera e condizionata. Questo processo porta alla comprensione diretta che il sé non è un’entità fissa o definita, ma un flusso in continua trasformazione.

Parallelamente a questa visione, che possiede una sua realtà ma sospinge verso un’esperienza ascetica, di distacco dagli oggetti e dalle emozioni, esiste la concezione tantrica che invita all’utilizzo di tutte le nostre funzioni, da quella sensoriali, a quelle emozionali e mentali, per trasformare la percezione illusoria della realtà in un dato di fatto realizzato con maggiore oggettività e freschezza.

Il Sāmkhya, una delle scuole più antiche della filosofia indiana, distingue tra Purusha (la coscienza pura) e Prakriti (la materia). I pensieri appartengono al dominio di Prakriti, ma la vera essenza dell’essere umano è il Purusha, che è immutabile, eterno e libero da ogni identificazione con la mente o il corpo. Nel Tantra, invece, tutto è Uno. Materia e spirito sono la medesima cosa che si esprime in forme diverse. Il Divino può essere colto in una foglia, in un sorriso, in un bacio, come nella meditazione e nella trascendenza dai sensi. Perciò, anche i nostri pensieri, sebbene riconosciuti come effetti illusori di percezioni illusorie, sono utilizzati per elevarsi, dispiegando la visione mentale verso orizzonti più dilatati e colorati di Gioia.

COLTIVARE UN NUOVO MODO DI PENSARE

coltivare un nuovo modo di pensare

Pur riconoscendo la natura transitoria dei pensieri, molte tradizioni filosofiche e spirituali sottolineano che essi giocano un ruolo cruciale nel plasmare le nostre emozioni e, di conseguenza, le nostre azioni. I pensieri ripetitivi e dominanti tendono a influenzare il nostro stato emotivo: pensieri negativi generano emozioni come ansia, rabbia o tristezza, mentre pensieri positivi possono portare a sentimenti di gioia, gratitudine e serenità. Queste emozioni, a loro volta, guidano il nostro comportamento, determinando il modo in cui interagiamo con il mondo e con gli altri.

Ad esempio, un individuo che si focalizza costantemente su pensieri di fallimento o inadeguatezza sviluppa emozioni di insicurezza e paura, che lo porteranno a evitare opportunità o a reagire in modo difensivo. Al contrario, una persona che coltiva pensieri di fiducia e ottimismo è più propensa ad affrontare le sfide con determinazione e instaurare relazioni positive. In questo senso, il nostro modo di pensare può diventare un circolo vizioso o virtuoso, amplificando rispettivamente la sofferenza o il benessere.

Le tradizioni spirituali indiane suggeriscono che, per spezzare il ciclo di pensieri ed emozioni negative, sia necessario coltivare consapevolezza e presenza mentale. Attraverso la meditazione, la riflessione e la disciplina mentale, possiamo imparare a osservare i nostri pensieri senza identificarci con essi, riducendo il loro potere di influenzare le nostre emozioni e azioni. Questo processo non solo ci aiuta a raggiungere una maggiore serenità interiore, ma crea anche un impatto positivo sugli altri, poiché le azioni consapevoli e compassionevoli generano armonia e felicità nelle relazioni.

DIVENTIAMO CIO’ CHE PENSIAMO?

diventiamo ciò che pensiamo

In definitiva, sebbene non diveniamo letteralmente ciò che pensiamo (nel senso che pensare positivo non è sufficiente), i nostri pensieri esercitano una profonda influenza sulla qualità della vita. Imparare a dirigere il pensiero verso stati di consapevolezza e compassione è una via per trasformare non solo noi stessi, ma anche il mondo che ci circonda. Questo equilibrio tra il riconoscimento della natura illusoria del pensiero e il suo ruolo nel determinare la nostra esperienza, è una delle grandi lezioni della filosofia indiana.

Esiste però un aspetto ancora più profondo, tramite il quale interpretare il titolo di questo articolo: “Tu diventi ciò che pensi”, ed è legato all’immaginazione creativa. Non si tratta tanto di immaginare cose che non esistono, ma permettere alla mente di educarsi ad immaginare un mondo diverso e più profondo, in noi stessi e all’esterno di noi. Se non sappiamo cogliere la bellezza attorno a noi, non possiamo farla emergere dal nostro interno. Che questa società sia costruita a tavolino per renderci infelici e spaventati, è sotto gli occhi di chiunque li abbia ben aperti. Questo esercita una continua influenza e colonizza la nostra mente con sospetti, paure, debolezze e desideri vacui privi di ogni consistenza, allontanandoci dal lato più profondo dell’essere umano.
Educare il pensiero è quindi uno strumento potente per compensare queste influenze, fino a realizzare il potere effettivo di trasformarle e renderci immuni a qualsiasi influenza negativa.

Non possiamo realizzare nulla se prima non lo immaginiamo mentalmente. Focalizzati quindi sui principi della Gioia e dell’Amore, non come un “figlio dei fiori”, ma come un guerriero che in una mano brandisce la spada e sul volto rivela la serenità di chi riconosce che illusione e realtà sono due mani che si congiungono.

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