BISOGNI E DESIDERI

Dalla schiavitù dei bisogni alla potenza del Desiderio

I BISOGNI

Nel linguaggio comune si usa l’espressione “ho bisogno di…”, per cose molti differenti fra loro, spesso confondendo il bisogno con il desiderio. Il bisogno descrive una qualche forma di “necessità insopprimibile”, ossia la difficoltà o l’impossibilità di fare a meno di una cerca cosa, persona, o situazione. I bisogni possono essere materiali, psicologici o emozionali.

Per capire meglio questo concetto esaminiamo i più semplici ed elementari bisogni, che possiamo definire “primari”. Ad esempio: il bisogno di mangiare, di bere, di dormire. Noi dipendiamo da questi tre fattori, presi come esempio. Dobbiamo dormire, dobbiamo mangiare e dobbiamo bere. Il nostro corpo ha bisogno di queste cose e non possiamo farne a meno. Esistono altri bisogni primari dai quali dipendiamo, ma ho citato questi tre come semplice esempio.

Quando diventiamo dipendenti da una necessità che esula da fattori naturali e dipende da aspetti emozionali, sensoriali e psichici, dai quali non deriva la nostra sopravvivenza, diciamo che soggiaciamo a bisogni secondari. Ad esempio: il bisogno del fumo, dei dolci, di affetto, e così via.

Quando siamo sotto l’influenza di molti bisogni, o di un solo bisogno divenuto tanto grande da riempire la nostra attenzione quotidiana, non possiamo essere liberi. Ci comportiamo come se ci trovassimo davanti ad un bisogno primario, anche se non è così. Per esempio, se affermiamo che abbiamo bisogno di dormire, sosteniamo qualcosa di vero; se però affermiamo che abbiamo bisogno di dormire almeno nove ore per notte, enunciamo una semplice dipendenza (descritta come se fosse una realtà oggettiva).

IL DESIDERIO

Il desiderio è tutta un’altra cosa. Quasi sempre si usano come equivalenti i termini “desiderio” e “bisogno”, ma la differenza è notevole. Non possiamo parlare di desideri primari. Il desiderio è l’effetto dell’incontro di coscienza-sensi con il mondo che ci circonda, che sia materiale o sovrasensibile. Il desiderio non implica necessità o dipendenza; esso è una pulsione pura e libera, diretta ad assaggiare o nutrirsi di alcuni aspetti della vita. Non è qualcosa di cui “non possiamo fare a meno”.

Usiamo invece il termine “bisogno” per indicare ciò di cui non si può fare a meno (o da cui è veramente difficile emanciparsi). Il bisogno è il desiderio dell’uomo ancora schiavo dei propri limiti; il desiderio è il bisogno dell’uomo liberato da quegli stessi limiti.

Quasi sempre le religioni hanno dichiarato guerra ai desideri materiali, identificandoli in ciò che mantiene l’essere umano limitatamente attaccato alle cose terrene. Nelle più comuni visioni religiose, non si pongono differenze fra “bisogno” e “desiderio”. La comune educazione sociale porta quindi l’individuo all’età matura senza la consapevole distinzione fra questi due fattori. I desideri non generano necessariamente attaccamento e limitazione della libertà individuale. I bisogni, però, sono in grado di limitarci.
Essi dovrebbero essere superati per accedere al desiderio puro, quell’afflato che spinge a toccare, assaggiare, assorbire e godere di tutte le cose della vita, siano esse sensoriali o spirituali, con la massima passione e senza l’attaccamento che rende schiavi.
Ma… come superare il bisogno, per essere in grado di accedere alla sfera del desiderio e godere liberamente della vita? 

LA REPRESSIONE DEI BISOGNI UCCIDE IL DESIDERIO

Castrare i bisogni è dannoso. Il bisogno del cibo (inteso come golosità), del sesso, degli oggetti e delle esperienze materiali o emozionali in genere, rappresenta l’umana spinta ad attraversare la vita. Nei bambini la possiamo vedere espressa da subito, nel bisogno di toccare, succhiare, scoprire il proprio corpo e tutto ciò che li circonda. Gli adulti non sono molto diversi; la maggior differenza è data dalla complessità che si produce per effetto del pensiero.

Il modo migliore per rimanere schiavi di un bisogno è quello di castrarlo; tutto ciò che desideriamo sperimentare e di cui ci priviamo, ne accresce progressivamente la dipendenza. Logicamente non possiamo avere tutto quello che vogliamo, anche perché non esistiamo solo noi a questo mondo e in alcuni casi un nostro bisogno egoistico può cozzare fortemente coi bisogni o i diritti di altre persone.
Generalmente, però, il problema è un altro; esso si basa sull’abitudine a pensare che esistano cose lecite ed altre illecite ed anche sulla curiosa e spesso inconscia tendenza a ritenere che il piacere sia qualcosa di cui vergognarsi, da prendere in piccole dosi e comunque, una condizione che debba essere limitata (almeno, questo accade spesso nelle persone meno materialiste). 

Esiste una frase che talvolta è detta ai bambini, prima di dar loro qualcosa che desiderano:  “Ma sei sicuro che te lo meriti?”. Qualche volta è detta in modo scherzoso, altre (purtroppo) con estrema serietà. In entrambi i casi, nel nostro inconscio, questa domanda è ben presente anche in età adulta.
A volte l’egoismo delle persone è esacerbato dall’impossibilità di ottemperare liberamente ai propri bisogni, cosa questa che genera una continua rincorsa ad ottenere tutto quello che possono, sia per quanto riguarda gli oggetti, che i sentimenti.

Qualsiasi bisogno, materiale, carnale o emotivo, deve essere osservato e compreso. Lasciare libero ogni bisogno, noncuranti di cosa possa produrre in noi o ad altri, può essere molto dannoso. I bisogni vanno controllati e vissuti in modo consapevole, senza divenirne schiavi, per trasformarli in un puro e libero desiderio.

NIENTE SESSO, SIAMO SANTI

Molti anni fa, in Francia, viveva un monaco buddhista che seguiva la via dello Zen; il suo nome era Taisen Deshimaru. Era giunto in Europa dal Giappone e insegnava Zazen, una forma antica di meditazione silenziosa originaria della Cina.
Ho conosciuto personalmente questo personaggio, dolce e austero, il quale un giorno mi ha detto una cosa che ha ripetuto spesso anche in occasione dei suoi ritiri di meditazione: “Trovo incredibile come i giovani europei quando fanno Zazen pensino al sesso e quando fanno sesso pensino a Zazen”.
Qualche volta rideva fragorosamente dopo questa affermazione, ma a volte mostrava vera perplessità. Credo fosse qualcosa che lo aveva realmente colpito, anche se conosceva bene le ragioni di questo incoerente meccanismo.

Il fatto è che la non libertà espressiva della propria sessualità portava le persone a far emergere questo bisogno quando cercavano di concentrarsi nella meditazione. Poi, quando vivevano il sesso nel corso di un ritiro di Zen, in stanza con la propria compagna o compagno, tendevano a pensare: “Forse in questo luogo dovrei solo concentrarmi sulla disciplina mentale; forse è sbagliato che segua questi bisogni”.
Senso di colpa, gemello siamese dell’educazione al peccato. Un meccanismo perverso per cui ci si pente di quello che si fa, ma quando si fa dell’altro si desidera fare quello di cui prima ci si è pentiti.

Attorno al 1930, in America, gli italiani erano discriminati nel mondo del lavoro. Se era possibile, gli imprenditori americani preferivano non assumere gli italiani per ruoli di responsabilità. Razzismo? No… praticità. Dopo la rivoluzione religiosa prodotta da Martin Lutero, il cristianesimo ha subito una spaccatura: da una parte i cattolici e dall’altra i protestanti. Entrambi seguivano lo stesso credo, ma i secondi hanno dato origine ad un modo diverso di intendere la religione e l’influenza sulla società anglosassone è stata notevole.

Uno degli effetti collaterali è stato il concetto di “povertà” come necessità per raggiungere il Regno dei Cieli (ovviamente valida per tutti ma non per il Vaticano). Gli americani sapevano perfettamente che gran parte degli italiani, influenzati dalla morale cattolica, non avrebbero mostrato la medesima aspirazione alla ricchezza dei loro conterranei e quindi, di fatto, sarebbero stati meno utili all’azienda.

Ridicolo? Non tanto. Qualche anno fa, sulla patinata copertina di un mensile italiano di cui non ricordo il nome, troneggiava il seguente titolo: “A cosa servono i ricchi?”; un quesito che in un paese anglosassone sarebbe inimmaginabile, anche solo se espresso in modo ironico. Per gli anglosassoni una persona agiata è un individuo che non pesa sulla società ed anzi è ad essa utile. 

In Italia, ancora oggi, per una serie innumerevole di ragioni, le persone molto benestanti che tendono a mostrare un “basso profilo” sono numerose. La ricchezza è qualcosa da non mostrare, di cui non andare particolarmente fieri tra la gente, quasi il ricco dovesse compensare il suo successo con un permanente senso di colpa per avere ottenuto ciò che altri non hanno raggiunto (sempre che non sia un egocentrico sbruffone). 

Questo vale per tutti i bisogni appagati. Piacere? Sì, certo, ma con un po’ di sofferenza che ne compensi la bellezza. Godi la vita ma ricordati di mostrarti sempre disagiato e, se possibile, anche lievemente psicotico. Se stai male, non fai paura a nessuno.

DAL BISOGNO AL DESIDERIO

Siamo vittime dei bisogni, di tantissimi bisogni; e siamo educati a vergognarci di ottenere piacere e di riuscire a realizzarli. In un ambiente psicologicamente deviato come il nostro, l’invidia, il giudizio e l’acredine per quello che altri posseggono e noi non riusciamo a ottenere (di materiale o emotivo), è all’ordine del giorno e crea un ambiente veramente provinciale e gretto.
In questo habitat crescono in nostri bambini. È qualcosa su cui riflettere.

Per liberarci da un bisogno dobbiamo attraversarlo fino in fondo; è la via più veloce. Però, non possiamo ignorare il fatto che vivere pienamente alcuni bisogni possa anche generare effetti collaterali negativi.
Prendiamo ad esempio il cibo. Il bisogno di mangiare molto e la golosità verso le cose più dannose può costare caro. Spesso la ricerca continua di cibo è il segnale di un vuoto che si cerca di colmare in questo modo.

Quale è il bisogno non visto (o ben presente), che tentiamo di compensare con cibo o alcool? Quello è il vero bisogno su cui concentrarsi, chiedendosi per quale ragione tentiamo di surrogarlo attraverso un’alimentazione disordinata e dannosa per l’organismo.

Un altro esempio riguarda i sentimenti e la sessualità. Perché essere felici per chi sta godendo di queste cose, quando potremmo dedicare la nostra energia all’invidia, al giudizio e al pettegolezzo? Almeno, abbiamo qualcosa da fare.

Non tutti i bisogni, quindi, sono espressione pulita e nitida di quello che vogliamo sperimentare; alcuni sono un ripiego e assecondarli può fornire brevi momenti di leggerezza, ma non conduce al superamento tramite l’appagamento, perché non rappresentano il bisogno fondamentale di cui si fanno semplici portavoce.

Per liberarci dai bisogni e accedere al vero Desiderio, quindi, è importante capire la natura dei tanti bisogni che abbiamo, attraversare quelli che rappresentano una richiesta vera e cercare di distaccarci da quelli che sono semplici surrogati e fungono da valvole di sfogo, ma rappresentano anche uno sviamento da ciò che sentiamo più intimamente e non abbiamo il coraggio di affrontare (o che ancora non riusciamo a vedere).

Ecco, questo è vero Tantra. Usare la vita, i sentimenti e la carne, per ascendere a ciò che esiste di più elevato. Per restarci? No, per ritornare giù con più amore, passione e desiderio di portare attorno a noi la bellezza che abbiamo avuto la grazia di vivere. Questa è la più potente e vera espressione di amore che si possa sperimentare e offrire.

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