Quando esploriamo un territorio, lo percorriamo essenzialmente lungo due “direzioni”: “in profondità” e “in larghezza”. La prima direzione consiste nel mettere in evidenza le entità che popolano (o formano) quel territorio, cioè gli “aggregati di proprietà stabili” che siamo in grado di scoprire tramite i nostri sensi e riconoscere come relativamente indipendenti gli uni rispetto agli altri. Ad esempio, quando entro in una stanza, la esploro in profondità rilevando gli oggetti che la compongono, come il mobilio, i soprammobili, i tendaggi, il pavimento, i muri, ecc. La seconda direzione di esplorazione – in larghezza – consiste nel mettere in relazione tra loro le entità identificate nel processo di penetrazione in profondità. Così facendo, costruiamo una sorta di mappa di quella porzione del reale, che definisce e delimita uno spazio.
Ma come suggerisce la parola, vi sono diverse profondità. A un determinato livello di profondità, incontriamo una certa tipologia di entità, che si lasciano ordinare entro uno specifico spazio relazionale. Se però la nostra profondità aumenta, possiamo incontrare delle nuove entità, non percepibili al livello precedente. In altre parole, esistono diversi “strati” (o “piani”) nel reale, e i diversi enti che li popolano non sono necessariamente dello stesso tipo, o della stessa natura, così come non necessariamente saranno equivalenti i teatri spaziali (o spaziotemporali) in grado di metterli in scena.
Tornando all’esempio della stanza, dopo averla esplorata utilizzando il senso della vista, posso toccare con le mani le diverse entità che ho identificato, confermando che si trovano proprio là dove i miei occhi le avevano collocate. D’altra parte, la mia pelle è sensibile anche alla temperatura. Spostandomi nella stanza, in alcuni punti posso provare una sensazione di freddo, in altri di tepore. In altre parole, nella stanza non sono presenti solo gli oggetti precedentemente individuati, ma anche “un qualcos’altro” che diviene percepibile quando spingo la mia esplorazione un po’ più in profondità. Questo qualcos’altro è un fluido la cui energia non è uniforme: in alcuni punti, quelli che percepisco come più caldi, possiede più energia, mentre in altri punti, quelli che percepisco come più freddi, ne possiede meno.
Con l’aiuto di uno strumento di misurazione adeguato, ad esempio una telecamera a infrarossi, posso confermare le mie sensazioni, visualizzando ciò che i miei occhi non sono in grado di vedere. Una telecamera a infrarossi (o termocamera) è semplicemente uno strumento sensibile alle frequenze elettromagnetiche al di sotto dello spettro visibile. Ricordo che ogni corpo materiale emette una radiazione elettromagnetica il cui spettro di frequenze è funzione della sua temperatura. Alle condizioni di temperatura standard per noi umani, la radiazione termica emessa da un corpo si trova nella regione dell’infrarosso, solitamente invisibile ai nostri occhi. Se però la temperatura aumenta, anche le frequenze emesse dal corpo aumenteranno, fino a raggiungere quelle a noi visibili, come accade ad esempio quando diventa incandescente.
Dunque, a un primo livello di “penetrazione in profondità”, ciò che toccano le mie mani coincide con ciò che vedono i miei occhi. Quando però uso i miei recettori termici, in aggiunta a quelli tattili, mi spingo in un certo senso più in profondità nell’esplorazione della stanza, e la corrispondenza tra i diversi sensi potrebbe venire meno: ciò che attiva i miei termo-recettori non necessariamente attiverà, al contempo, anche altri miei sensi. Quando ad esempio tocco uno dei biscotti che si trovano sul tavolo, la mia mano lo trova esattamente nella posizione ricavata dal processo di triangolazione dei miei occhi. Se con la mano lo sbriciolo, ciò produrrà un rumore (una vibrazione acustica) che originerà esattamente dal punto di interazione tra la mia mano e il biscotto, e quando avvicino il biscotto al mio naso, posso percepirne il profumo, e portandolo in contatto con le papille gustative della mia lingua e del mio palato, posso apprezzarne il sapore. In altre parole, una stessa entità materiale è in grado di attivare, contemporaneamente, molti dei miei sensi (ordinari).
Se però girando per la stanza di colpo sento freddo, questa mia percezione termica non sempre verrà accompagnata da un’attivazione corrispondente di altri miei sensi, cioè potrei sentire freddo senza che tale sensazione sia associabile a un’entità presente in quell’ambiente, tra quelle da me inizialmente identificate. In questa circostanza, è facile (e per certi versi auspicabile) diffidare delle proprie percezioni. Se sono in compagnia di qualcuno, sarò allora tentato di chiedergli (o chiederle): “Senti freddo anche tu in questo punto della stanza?”. Se la risposta è positiva, la mia percezione da soggettiva diventerà possibilmente intersoggettiva. Dico “possibilmente” perché bisogna tenere conto anche del famoso “effetto osservatore”. Infatti, il modo in cui ho posto la domanda potrebbe condizionarne la risposta. Una domanda più neutra da porre è: “Tu che sensazioni provi in questo punto della stanza?”. Ma anche questa formulazione non è esente da possibili condizionamenti. Ancora meglio sarebbe poter chiedere: “Potresti gentilmente farti un giro della stanza e raccontarmi quali percezioni hai avuto?”
Insomma, se ho a che fare con delle percezioni “sottili”, la prudenza è d’obbligo, altrimenti rischio di prendere le famose lucciole per lanterne. L’ideale è poter disporre di uno strumento di misura affidabile, come la termocamera precedentemente evocata, in grado di confermare, e là dove necessario correggere e affinare, le mie percezioni termiche della stanza. Con queste informazioni potrò allora arricchire la mappa del luogo, includendo nella stessa anche una descrizione del campo di temperature associate al fluido inodore e incolore che essa contiene e che mi permetterà ad esempio di meglio comprendere perché le persone, quando la visitano, evitano certi punti e permangono invece più a lungo in altri.
Ma cosa accade se tutt’a un tratto percepisco una sensazione di freddo che la mia termocamera non è assolutamente in grado di rilevare? Qui ci sono (almeno) tre possibilità: (1) i miei recettori del freddo (periferici o interni) si sono alterati (magari perché ho la febbre); (2) mi sono autosuggestionato (magari perché stavo pensando alla criosauna che ho fatto il giorno prima); (3) sono riuscito a penetrare quella stanza più in profondità e nel farlo ho percepito qualcosa di reale, qualcosa che il mio cervello ha poi elaborato come sensazione di freddo.
In questo caso, mancando uno strumento adeguato in grado di confermare le mie percezioni, dovrò diventare io stesso lo strumento in questione, cercando di essere il più affidabile possibile. La prima cosa che posso fare è escludere che il problema sia di tipo fisico (ad esempio, controllando che non ho la febbre), o psichico (ad esempio, verificando che riesco a percepire la stessa cosa anche quando la mia mente pensante è quieta). Posso poi cercare ulteriori conferme osservando se altre persone percepiscono qualcosa di anomalo in quel particolare punto, magari solo inconsapevolmente, evitandolo. Così facendo, e nella misura in cui le mie percezioni “anomale” troveranno col tempo conferme sempre più ampie, potrò prendere ragionevolmente sul serio l’ipotesi che sono in grado di penetrare più in profondità la realtà di un luogo di quanto riportato nelle “mappe ordinarie” dello stesso.
Ciò che viene a volte indicato con termini quali “prana”, “chi”, “ectoplasma”, “energia sottile”, “eterico”, “extrafisico”, ecc. (termini che non necessariamente fanno riferimento agli stessi fenomeni), ha a che fare con qualcosa di simile a ciò che ho descritto. In un percorso di ricerca e sviluppo interiori, ciò che si cerca di fare (tra le altre cose) è potenziare e affinare le nostre percezioni del reale, così da poterci spingere più in profondità nella sua esplorazione. Facendolo, possiamo allora completare (e là dove necessario, correggere) la mappa dello “strato” in cui solitamente ci troviamo (la “stanza” della dimensione “fisico-densa”) e cominciare piano piano a sondare dei nuovi “strati” (delle nuove “stanze”), quindi tracciare delle nuove mappe. Sarà allora naturale chiedersi (lo è se non altro per me) come si relazionano tra loro le diverse stanze, quale sia la natura delle porte (e delle chiavi) che permettono di passare da una all’altra, l’origine e storia evolutiva dell’intera struttura multidimensionale che esse formano, e se sia possibile accedere a un punto di osservazione “esterno” rispetto a tale incredibile struttura…
In altre parole, nel nostro processo di esplorazione del reale, sia “in profondità” che “in larghezza”, potremmo realizzare di non essere solo degli esseri (e delle coscienze) intradimensionali, ma altresì degli esseri interdimensionali, e forse perfino degli esseri transdimensionali. Non dimentichiamoci però che nel nostro processo di esplorazione, che portiamo avanti da tempi immemori, ciò che davvero conta è che il nostro prossimo passo, per modesto che sia, sia un passo mosso nella giusta direzione. Perché comunque, come è noto, l’orizzonte si muove con noi.