Teste pensanti, cuori pulsanti

È notizia di qualche settimana fa che 181 tra le più importanti aziende americane (tra cui Amazon JPMorgan, BlackRock) hanno firmato una dichiarazione nella quale affermano che soddisfare gli azionisti non sarà più l’unica priorità ma si dovrà tenere conto anche del benessere dei dipendenti e dell’impatto ambientale.

Sembrerebbe che nel mondo dell’imprenditoria sempre più si stia parlando di etica, empatia, attenzione all’ambiente. È solo un’abile strategia di comunicazione per conquistare consensi? Può essere ma io voglio pensare che qualcosa stia veramente cambiando e che il management di quelle realtà si stia rendendo conto che il modello economico vigente non sia più sostenibile nel lungo periodo.

Cerco allora di immaginare quali possano essere i principi di base per una nuova etica economica. Oggi il principale (se non l’unico) criterio che viene utilizzato per decidere se produrre o meno un bene è legato alla sua redditività. Se siamo onesti non possiamo non concordare sul fatto che il profitto è l’unico vero criterio che determina la decisione di lanciare un prodotto o se continuare a produrlo o commercializzarlo. Tutto ciò dal punto di vista imprenditoriale è naturale perché le aziende possono sopravvivere e crescere solo se sviluppano redditività, questa è l’economia di mercato e in attesa di trovare qualcosa di meglio con questa dobbiamo fare i conti, che ci piaccia o meno. Ma allora, se non possiamo fare a meno della redditività potremmo però introdurre altri criteri “vincolanti” prima di progettare, produrre e immettere sul mercato un nuovo prodotto o servizio, ponendoci alcune semplici domande:

1) È benefico per l’individuo, o perlomeno non nocivo?

2) È dannoso per l’ambiente o si armonizza allo stesso?

3) È utile per la comunità, cioè migliora la qualità della vita dal punto di vista sociale?

Ma non basta chiederci cosa produrre, dovremmo anche interrogarci sul come lo produciamo e dove lo facciamo:

4) I luoghi di lavoro sono salubri?

5) I metodi e le condizioni (anche economiche) di lavoro sono “sostenibili”, cioè rispettano la dignità umana?

Mi sembra che il mondo in cui viviamo abbia dimenticato che al centro di tutto ci dovrebbero essere gli uomini e le donne con le loro reali esigenze e necessità. Invece siamo arrivati al punto in cui le regole sono diventate più importanti dell’essere umano. La politica si è resa serva dell’economia e prima di prendere una decisione importante è solita chiedersi: “ma come reagiranno i mercati”? I mercati? E l’umanità che fine ha fatto? Non ci si chiede mai come reagiranno le persone? È incredibile ma la maggior parte della gente accetta tutto questo come normale subendolo senza reagire, compresi gli organi d’informazione che sembra non abbiano più la libertà o il coraggio di fare il loro lavoro seriamente.

Chiedersi se tutto ciò sia dovuto ad una precisa volontà di qualcuno che negli anni ha stabilito che dovesse essere così oppure se sia frutto del caso non è oggetto del presente articolo. Il mio desiderio è semplicemente quello di far riflettere sulla situazione in cui ci troviamo e su possibili soluzioni per creare un mondo più a “misura di essere umano” in cui dignità, equità e qualità della vita siano valori imprescindibili.

Quando scrivo “criteri vincolanti” cosa intendo? Beh qui dobbiamo decidere se stimiamo che le aziende produttrici siano degli organismi responsabili oppure no. Ma le aziende sono fatte di uomini e di donne e quindi cerchiamo di capire se chi le governa ha sviluppato in sé un senso di responsabilità nei confronti del pianeta e di chi lo abita. Se così fosse dovremmo solo fare appello a quel senso per ottenere il rispetto di quanto sopra. Ma se pensiamo che quella responsabilità non vi sia (e basta guardarsi attorno per darsi una risposta) cosa dovremmo fare? Auspicare che vengano stabilite delle leggi che impongano quei criteri? Ciò farebbe presupporre che le istituzioni politiche siano più responsabili delle aziende private. Ma anche le istituzioni sono pur sempre composte da esseri umani. Qualcuno pensa che nella classe politica ci siano individui più responsabili della media? Non credo. E quindi che facciamo?

Chi si sta ponendo queste domande si ritiene responsabile e pensa che come lui ce ne siano altri i quali  però sperimentano spesso un senso di impotenza di fronte alle macro-decisioni di pochi che influiscono su tanti. Ognuno nel mondo si ritiene diverso da tutti gli altri, ma esiste qualcosa che ci accomuna? Ci sono dei valori e dei principi che chiunque può ritenere validi a prescindere dalle appartenenze sociali, geografiche, religiose? Se esistono, e sicuramente esistono perché in passato qualche mente illuminata li ha indicati, potremmo trovare un modo per unirci e muoverci tutti nella medesima direzione illuminando il nostro cammino con quegli immortali valori. E questo sarebbe bellissimo ma non basterebbe poiché la storia ci dimostra che nonostante quei valori vengano sbandierati dai più poi nella realtà le azioni non sono coerenti alle parole e così i problemi dell’umanità sono gli stessi da migliaia di anni.

Ma allora non se ne esce!

Negli ultimi loro libri e conferenze Andrea Di Terlizzi e Antonella Spotti ci invitano ad osservare quanto la nostra esistenza quotidiana sia vissuta sotto l’effetto di una sorta di ipnosi collettiva a causa della quale la percezione di noi stessi e dell’ambiente circostante sia totalmente distorta. Allo stesso tempo si pongono e ci pongono una semplice e fondamentale domanda: COSA sono io? Non chi, ma cosa! Forse è da qui che bisogna partire per comprendere i problemi e trovare le soluzioni.

Il mondo che ci circonda non è nient’altro che lo specchio di ciò che siamo. Chiedersi cosa sia davvero l’essere umano e cosa sia in grado di diventare potrebbe essere il primo vero punto di partenza, scoprirlo significherebbe capire tre cose fondamentali:

1) quali sono le reali esigenze di un essere umano (di cosa abbiamo veramente bisogno!);

2) perché non riusciamo ad ottenerle nonostante siamo conviti di volerle;

3) come potrebbe trasformarsi la società in cui viviamo se fosse composta da individui più saggi che non pensano solo al proprio interesse ma cooperano tra loro in armonia con le leggi della Terra.

Iniziamo a guardare all’interno di noi stessi anziché al di fuori, solo in questo modo potrà sorgere una nuova umanità composta da individui dotati di teste pensanti e cuori pulsanti, in grado di costruire un nuovo mondo attorno a noi.

2 commenti su “Teste pensanti, cuori pulsanti”

  1. Gentile Gabriele Masserini,
    ma lei sa cosa stanno facendo JPMorgan e BlackRock all’umanità?
    Rivolga ai loro azionisti le tre domande che ci ha proposto nell’articolo,
    vedrà che le sapranno rispondere con dovizia di particolari.
    In ogni caso, grazie.

  2. Buongiorno Matteo, grazie per il commento. Le mie domande erano rivolte a tutti indistintamente, me compreso. So bene le logiche che muovono le grandi strutture economico-finanziarie. Sperare che gli azionisti di quelle società leggano il mio articolo o ascoltino le mie domande mettendo in discussione il loro operato è abbastanza utopistico. Credo piuttosto che ognuno di noi abbia la possibilità di esercitare un’influenza in base a come pensa, parla e agisce quotidianamente. Le realtà che ha citato prosperano indisturbate anche grazie all’inerzia di molti, che vivono nella più totale inconsapevolezza e disinteresse per ciò che capita a un metro dal loro naso.
    Gabriele

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